Prima di affrontare l’argomento della pulizia del mobile dobbiano tener conto che in alcuni casi e necessario trattare le superfici avendo cura di rispettare la patina originale.
Su questo argomento sono state dette cose che talvolta rasentano la malafede, la definizione di patina non può essere dedicata a superfici screpolate, deteriorate oppure sporche perche conservate in ambienti malsani, la patina, in realtà, è una conseguenza dei processi di invecchiamento dello strato superficiale del legno.
Nel legno nuovo, la lavorazione meccanica fa sì che le fibre che lo compongono vengano rotte e sollevate perpendicolarmente rispetto al piano, rendendo la superficie ruvida al tatto, in gergo si dice che si solleva il “pelo”, tali fibre, intrise di resina, disperdono la luce facendo assumere al legno un aspetto opaco, privo di lucentezza.
Con la levigazione iniziale le cose migliorano un poco, ma è solo con il passare del tempo, con il continuo strofinio che si verifica nel corso dei decenni e dei secoli e con il naturale restringimento delle porosità, che il legno assume l’aspetto che tanto apprezziamo nei mobili antichi, inoltre l’ossidazione delle resine e degli altri componenti, come il tannino, dona al legno tonalità che nessuna tintura è in grado di imitare, ad esempio, il noce prende tonalità che vanno dal grigio al marrone caldo, quasi rossastro, il ciliegio e il faggio divengono biondi con sfumature aranciate, il pino, l’abete e il pioppo prendono una colorazione giallognola.
Ora, mentre una lucidatura correttamente eseguita e in buono stato è in grado di proteggere il legno e di farne risaltare tutta la bellezza, evidenziandone la venatura, uno strato di lucido opaco e sbiadito non potrà che mascherare tutto, patina compresa.
Talvolta i mobili vengono definiti in “prima patina” intendendo con ciò che essi conservano ancora la primitiva lucidatura e che non sono mai stati rilucidati in epoche successive.
Riteniamo che tali affermazioni siano perlomeno azzardate e comunque impossibili da dimostrare per mobili con più di un secolo e ciò per svariate ragioni, nessuna lucidatura, per quanto accurata, resiste per un tempo cosi lungo, soprattutto in condizioni di normale utilizzo, inoltre non esisteva in passato il rispetto, talvolta sacrale, che si ha oggi nei confronti dei mobili antichi.
Il restauro conservativo, come lo intendiamo oggi, cioè volto esclusivamente ad evitare ogni ulteriore degrado, con interventi di riparazione e sostituzione che siano aderenti, come stile e come forma a quelli originari dell’epoca ma, tuttavia, distinguibili dal resto, è un’acquisizione piuttosto recente e a differenza delle opere pittoriche, scultoree e d’arte in genere, per le quali attualmente rappresenta la tecnica normale di restauro, nel campo dei mobili è l’eccezione riservata ai destinati ad un’esposizione museale.
Quindi, ancora oggi, viene preferito, per i mobili, un restauro che, pur accogliendo alcuni dettami del restauro conservativo, tenga in debito conto anche le esigenze di funzionalità e di natura estetica.
Da tali esigenze è sempre derivata la necessità di periodici interventi di restauro e ripetute rilucidature.
Citiamo da “Restauro e manutenzione dei mobili antichi” di John Rodd: “è ovvio che qualunque mobile sopravvissuto per oltre un centinaio d’anni sarà stato trattato con una grande varietà di cere e creme contenenti vari ingredienti tra i quali birra inacidita, lacca a tampone, olio di oliva ed aceto, tutti citati in vecchie ricette.”
Tali rilucidature divennero addirittura frequentissime nei primi decenni del ‘900.
Divenne consuetudine ospitare lucidatori itineranti che effettuavano queste “rinfrescatine” a domicilio quasi annualmente.
In tali circostanze, per risparmiare tempo, alcuni utilizzavano copiosamente aniline ed altre sostanze al fine di «mascherare i difetti, le macchie e le fioriture delle precedenti lucidature, ricoprendo il tutto con spessi strati di lucido, col risultato che a distanza di anni i mobili finivano per essere ricoperti da una crosta più o meno indecente.
Sotto questo aspetto, paradossalmente, accade che i mobili più recenti giungano al restauratore spesso in condizioni peggiori rispetto a quelli di alta epoca.
Infatti, mentre i pochi mobili del Settecento e di epoche anteriori giunti fino a noi sono quelli i cui proprietari appartenevano alla nobiltà o all’alta borghesia, mobili di estremo pregio e perciò degni di attente cure e accurati restauri, quelli più recenti, di proprietà di ceti sociali più ampi e di valore assai disparato, spesso hanno subito insulti di ogni genere, comprese rilucidature con turapori sintetici, coppali vari quando non delle riverniciature con lo smalto.